Ehi.
Sì, lo so, non si dovrebbe iniziare una lettera con “Ehi”, non rende l’idea, dovrebbero essere più formali le lettere, ma sai che c’è? Fanculo. Non ho tempo per la formalità, figuriamoci per mettermi a pensare bene a come iniziarla.
Qui la situazione è un po’ incasinata, fattelo dire. Sai, le solite cose: la gente non parla e non si parla, che sono due cose diverse ma molto vicine. Non parla con altra gente, e non parla con sè stessa (ah, sai? Ho finalmente scoperto che posso scriverlo anche così, non dovrai più correggermi. Non che tu possa più correggermi molto adesso, ma tant’è, almeno abbiamo risolto questa controversia di anni), e si finisce in una serie di assordanti silenzi fatti di urla che non trasmettono niente.
Ti chiederei come va da quelle parti, ma non sono troppo sicuro di volerlo sapere: certe cose è meglio lasciarle in ombra, e concentrarsi a buttare fuori un po’ di pensieri personali, che almeno ho la certezza che possano arrivarti, o la speranza che possano arrivarti, o che ne so. Qualcosa l’avrò di sicuro, non trovi?
Il lavoro prosegue, alti e bassi ma prosegue, ma in fondo cosa non va ad alti e bassi dalle mie parti? Persino il sesso è un’alternanza di alti e bassi, e visto che per molti il sesso è la parabola più calzante dell’esistenza umana, questo la dice lunga su come deve essere il resto. Ma sto divagando, è un mio vizio, ricordi?
No, presumo di no, io e te non è che si abbia mai davvero parlato tanto in effetti, te avevi la tua vita da vivere, e quando ti è crollata addosso avevi la tua vita da ripetermi incessantemente, fingendo di ascoltare la mia nelle pause, ma ero solo un riempitivo del tuo egocentrismo. Non te ne faccio una colpa, sia chiaro, tu eri quello che eri, io ero quello che ero, e questa cosa è più che altro una giustificazione per fare pace con un po’ di pensieri, e metterli da parte.
C’è una guerra da queste parti, forse ti è sfuggita, o forse non ci hai mai fatto davvero caso. E’ una guerra sotterranea, invisibile, di generazioni e di canzoni e di ferite e di pensieri. Pensieri è una parola che sto usando fin troppo, per divagare, si vede ne ho abbastanza da tirare fuori. Ma c’è comunque una guerra, dove la gente butta in cannoni i propri cuori e se li spara addosso sperando che siano abbastanza induriti dalla rabbia da poter ammazzare qualcuno. Ma si finisce sempre per vederseli spappolati addosso a qualche persona che ha alzato più barriere di quelle che si potesse sperare di abbattere.
Alla fine la guerra è tutta lì: avremo mai cuori abbastanza duri da sfondare le barriere che li separano dagli altri cuori, o finiremo col cuore infranto e con barriere sempre più salde? Non lo so proprio, ma in fondo non era di questo che volevo parlarti. O meglio, anche di questo, ma volevo parlarti anche di altro. O che ne so, volevo parlarti e basta.
Qui al fronte – la vita è un fronte, si scopre ad una certa età – la situazione è sempre la solita, si spera nell’arrivo di una qualche festività per scambiarsi regali coi nemici sperando che i cecchini non ci ammazzino a tradimento mentre ci tendiamo la mano per stringerla. Ci sono cecchini ovunque, tu non li vedi, ma ci sono. Sono quelle persone che ti sorridono in faccia con un coltello dietro la schiena, e sono cecchini nascosti in piena vista con al posto dei fucili cellulari e social networks e mezzi stampa, che al posto di proiettili usano gli insulti e le risate arroganti di chi non ha più interesse che tu sopravviva o che ti ammazzi da solo. Stanno sempre nascosti sai? Non si mostrano mai, e quando lo fanno hanno quei volti che sembrano maschere di cera. Ma sono forte, ho tre giubbotti antiproiettile ed una bomba atomica nascosta, la tengo sotto la sedia, per quando vorrò mandare a farsi fottere il mondo.
Ma siamo in guerra, e tu hai smesso di combatterla, o forse non l’hai mai combattuta. A volte me lo domando come eri ai miei tempi, o meglio come eri quando non eri come ti ho conosciuto, ma quando avevi la mia stessa età. Hai combattuto anche te le tue guerre? Ho sempre sentito storie su di te, con quel misto di stranezza e leggenda, storie che non hai mai confermato o smentito, ci tenevi che la gente raccontasse di te le cose più strane, forse ti faceva sentire davvero migliore di quello che eri. Non lo so se ho preso da te o meno questa abitudine, ma di sicuro non è così male posso presumere. Ma tanto oramai che importa? Anche io quando capita su di te racconto storie, in fondo non ti ho mai davvero conosciuto.
Mi hanno detto che passano di tanto in tanto a levare le erbacce che ti sono cresciute attorno, e che hanno risistemato la targa, così che il tuo nome sia ancora lucido. Me l’hanno detto perchè sai come sono fatto, difficilmente passo a trovarti, è qualcosa che non fa per me. Neanche te, a parti invertite, saresti passato a trovare me: non siamo persone che amano certi luoghi, non abbiamo il carattere per l’imbarazzante e rispettoso silenzio di fronte alla vita che finisce. Lo spezzeremmo con qualche battuta di dubbio gusto per strappare una risata che farebbe vergognare le persone di averla fatta.
L’ho fatto con mamma quel giorno, sai? Sono riuscito a farla ridere anche durante quelle parolone complesse che si inventavano balle su una condotta esemplare che sappiamo entrambi non sei mai riuscito a mantenere, o non sarebbe finita così. Ma siamo in guerra, come alla fine ho capito, e quando c’è un caduto in questa guerra che chiamano vita bisogna sempre parlarne bene, è l’unica garanzia che si può ottenere alla fine, che quando parleranno bene di te tu non sarai mai lì per poterlo sentire.
Comunque sia qui al fronte la situazione è statica. I giorni di pioggia sono tanti quanti i giorni di sole, e la felicità e la tristezza sono in perfetto equilibrio. C’è un armistizio fra i miei pensieri ed il cuore, e forse prenderò l’ennesima laurea per dare un senso a quella cosa chiamata intelligenza che dicono io abbia preso da te. Mi dicono sempre di non fare confronti e paragoni, ed io stesso lo dico agli altri, ma sai che c’è? E’ difficile a volte, più che altro perchè fare confronti e paragoni è l’unica maniera che mi è rimasta per avere un qualsiasi rapporto con te.
Comunque sia ti devo lasciare, ho un fucile fatto di parole da caricare, ed ho l’ennesima trincea di ore impilate l’una sull’altra da assaltare. Di sicuro qualche pallottola me la prenderò, e mi sembrerà – come spesso accade di questi periodi – di aver perso tutto, e di dovermi arrendere in questa guerra del cazzo chiamata vita. Ma se c’è un confronto che non mi permetto di negarmi a prescindere da tutto quello che dico, è quello che mi fa alzare ogni volta: ho ancora troppe battaglie da perdere prima di vincere la mia guerra, e di sicuro avere avuto un pessimo genitore ma un ottimo maestro mi ha dato qualche asso nella manica e qualche coltello da lanciare quando sarà l’occasione, oltre che una discreta faccia da culo per le situazioni più disastrose.
Stammi bene, ovunque tu sia.
Anche se una mezza idea ce l’ho.
- C.S.
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