Romi in questo momento mi sento tipo Maria De Filippi a C’è Posta Per Te…
Questa è la stovia di Tevesa, una giovincella di 26 anni ai tempi della letteva che… no vabbè evito.
Anche se questa lettera tra poco compie 10 anni e la quasi destinataria non fa più parte della mia vita da tempo, ci tengo ugualmente a rispolverare e condividere ciò che ho provato per la prima volta per una persona del mio stesso sesso, mettendo finalmente un freno ai dubbi che mi scorticavano indisturbati da ben 11 anni.
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5 settembre 2014
Ehm, ciao.
Sono sul letto e sono stanca. Come inizio fa schifo ma abbi pazienza. Oggi è venerdì e qualche ora fa ti ho scritto un’epopea sulla mia esperienza lavorativa al call center.
Ti dico subito che questa lettera potrebbe arrivarti tra tre anni e mezzo ma non incolpare le poste ma la mia “voglia” di scriverti. Voglia tra virgolette perché non è facile raccogliere tutte le idee per rendere la lettera meno idiota possibile, ma probabilmente lo sarà lo stesso, c.v.d.
Sai perché ho scelto questo mezzo per comunicare ma c’è anche un altro motivo: quello che è scritto qui rimane qui, fuori dal web. La tua risposta quindi non serve. Ci sono cose che sento di dirti ma che ho taciuto: a distanza non rendono. Beh in realtà niente rende se non ci si guarda negli occhi.
È passato circa un quarto d’ora dalla parola “occhi”, non riesco ad andare avanti.
Facciamo così, parto dal principio. Dal 2010.
Prima di parlarti ti leggevo e pensavo: “Questo posto non lo sento più mio, i miei amici storici sono andati via, vedo le nuove generazioni ed io perdo solo altro tempo. Non ho intenzione di intraprendere nuove conoscenze, non ho altro da dare se non battute ambigue prive di senso.” Ti ho letto per tre giorni senza parlare, al quarto ti ho parlato, conscia che quella sarebbe stata la prima e l’ultima volta. Poi la battuta sui commilitoni, le mie prese in giro sul tuo abbandono dopo la chattata di Natale e le nostre immediate confidenze in ambito sentimentale ha fatto il resto.
Hai avuto pazienza nell’affrontare la mia chiusura iniziale – sono la tua conquista, ricordi? – . Nessuno ha mai saputo prendermi così fino ad allora, o forse nessuno ha mai voluto, chi lo sa.
Più passava il tempo e più qualcosa mi cresceva sotto pelle, qualcosa che consciamente non percepivo ma che lasciava in qualche modo dei segnali – “non so se ti voglio bene” – . Non sono mai stata una grande chiacchierona, nemmeno via web ma con te i miei monologhi si facevano più lunghi e più intimi. Poi il meeting, l’unico vero incontro, sui due successivi ci scriverei un libro ma ehi, sono qui, un riassunto della nostra storia di vita insieme ci sta tutto. Mi dicesti che ero diversa già dal secondo incontro, fino a qualche mese fa non capivo in che modo, poi l’illuminazione: ero già in mutamento verso Teresa, l’asociale anaffettiva. Ma è del terzo incontro che voglio parlare. È stato terribile perché ti ho vista “completa” così, per cui la mia presenza era accessoria. Ho represso il mio desiderio di averti solo per me ed ho lasciato che il vuoto mi riempisse.
Ti ho vista sorridere per delle cose che non dicevo io, ti ho vista passare delle belle serate grazie ad altre persone. Chi ero io per sradicarti dalla tua vita e trascinarti nella mia, così vuota e banale? Per cui ti ho lasciata andare, avevo chiuso la tua parentesi mentre mi eri accanto.
Avevo deciso per entrambe.
Avevo deciso che una come me non poteva permettersi di avere a fianco una come te, le nostre vite dovevano rimanere distanti. L’ho pensato per molto, molto altro tempo. Intanto notare la tua vita andare avanti mi straziava. Valentina davvero mi dava dei problemi, il mio non è uno scherzo, ci sono stata male davvero. La vedevo al mio posto. In tutto ciò uso il passato perché finalmente ho capito che mi vuoi bene, anche se sono una cretina senza speranza in tutti gli aspetti della vita. Anche io te ne voglio, talmente tanto che ho pianto per tutta la stesura della lettera, mi hai insegnato la magia delle emozioni essendo semplicemente te stessa.
Quella cosa sotto pelle è venuta fuori, ti ho sempre messo sopra ogni cosa, quindi il mio “non so se ti voglio bene” era dovuto al fatto che “volere bene” era troppo poco e troppo “in basso” al punto dove eri (e dove sei) tu.
Questo solo il tempo me l’ha detto. La mia assenza di emozioni altro non era che amore mimetizzato, qualcosa da nascondere. Queste cose avrei voluto dirtele dal vivo a novembre ma tra il dire e il fare… c’è di mezzo la vergogna.
Ecco perché questa lettera che è qui tra le tue mani non avrà risposta, perché non serve. È una comunicazione di servizio, non una lettera d’amore. O sì?
Ho deciso di non nasconderti più cosa penso, se ti perderò non avrò più rimpianti.

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